"Un'esigenza fondamentale del pensiero contemporaneo è di
farla finita con la 'filosofia politica'. Che cos'è la filosofia
politica? E' il programma che, ritenendo la politica - o meglio
ancora il politico - un dato oggettivo o addirittura invariante,
dell'esperienza universale, si propone di consegnarne il pensiero
al registro della filosofia. Toccherebbe insomma alla filosofia
produrre un'analisi del politico e, ovviamente, sottomettere in
fine questa analisi alle norme dell'etica. Così, il filosofo
otterrebbe il triplo beneficio di essere, in primo luogo, l'analista
e il pensatore di questa oggettività brutale e confusa che è
l'empiricità delle politiche reali; in secondo luogo, di essere colui
che determina i principi della buona politica, di quella conforme
alle esigenze dell'etica; in terzo luogo, di non dovere, a tal fine,
essere il militante di nessun processo politico vero, in modo da
poter fare, indefinitimente, la lezione al reale nella modalità che
gli è più cara; quella del giudizio. L'operazione centrale della
filosofia politica così concepita - di cui si deve confessare che è
l'esempio stesso di ciò di cui è capace un certo fariseismo
'filosofico' - consiste nel ricondurre preliminarmente la politica,
non al reale soggettivo dei processi organizzati e militanti, che
soli, bisogna dirlo, meritano questo nome, ma all'esercizio del
'libero giudizio' in uno spazio pubblico in cui non contano, in
definitiva, che le opinioni".