Popolo, classi culte e pubblica sicurezza. La gestione della violenza rivoluzionaria nella Sicilia del 1848
Description:... Nella società siciliana di inizio Ottocento i nuovi notabilati nati all'ombra della riforma amministrativa e del nuovo assetto post-feudale si trovarono a gestire un potere effettivo, ma anche intellettuale e simbolico, di notevole rilevanza. Una società, dunque, in via di assestamento, in cui i rapporti di dipendenza e subordinazione apparivano strutturati, ma che tuttavia rivelava, soprattutto nelle fasi di rottura rivoluzionaria, momenti di osmosi interclassista. Questi processi subirono un’ulteriore accelerazione nel corso del’48.
In considerazione di ciò, la ricerca si muove su due livelli d’analisi: quello dei rapporti effettivi di patronage e dipendenza riguardanti notabili e classi popolari, e quello simbolico relativo al monopolio da parte delle classi pensanti di una sapiente strumentazione culturale in grado di creare un certo consenso attorno ad alcune istanze politiche. Nelle sue prime battute la sommossa palermitana del 12 gennaio si caratterizzò per una partecipazione popolare tutto sommato esigua. Fu necessario, infatti, l’intervento delle squadre e l’adesione del patriziato e del notabilato cittadino per imprimere una svolta e dare sostanza all'incipiente rivoluzione. L’irruzione sulla scena delle squadre, di cui il Comitato si servì per piegare le forze borboniche presenti sull'Isola, ma la cui gestione risultò fallimentare, rivelò un aspetto inquietante, ma che rimase una costante nelle rivoluzioni siciliane: il compromesso tra l’elemento patriottico e quello della delinquenza comune.
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