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Il Capo dello Stato e le leggi

Tomo I & Tomo II

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La Parte Prima (Tomo I) analizza alcune significative esperienze costituzionali comparate. Prima di tutto il Regno Unito, nel quale è nato l’istituto tipicamente monarchico del Royal Assent, la sanzione regia. Nonostante l’evoluzione della forma di governo di quell’ordinamento abbia segnato una sorta di punto di non ritorno, rispetto allo spostamento dei poteri dal Sovrano al Primo Ministro, è sembrato opportuno evidenziare taluni svolgimenti più recenti che potrebbero far propendere per un differente ruolo della Corona rispetto alle leggi. Senza dubbio è oramai convenzione costituzionale che la Corona debba apporre la sanzione ad un progetto di legge approvato dal Parlamento, tuttavia, alcune recenti riforme avutesi in quell’ordinamento consigliano di considerare il ruolo della Corona, rispetto alle leggi, come possibile di un ripensamento. In secondo luogo, gli Stati Uniti, il Paese del Veto Power, formidabile arma nelle mani del Presidente per bloccare la legislazione. Tanto in caso di Regular Veto quanto in caso di Pocket Veto, il Presidente può condizionare fortemente l’approvazione o meno di un determinato progetto di legge. Non solo. Si è potuto osservare che in quel Paese giocano un ruolo di rilevante significato i gruppi di pressione, con i quali il Congresso e lo stesso Presidente non possono non dialogare. In questo Paese, in effetti, si è di recente messo in risalto, da parte della dottrina, la necessità di ripensare l’istituto dell’Impeachment, proprio in riferimento al potere di veto presidenziale. L’interesse per questo Paese è dovuto, oltre all’uso assiduo, ancorché irregolare, che i diversi Presidenti hanno fatto del Veto Power (da Washington a Obama: 1498 Regular Veto e 1066 Pocket Veto), anche per il più recente istituto della Presidential Signment Statement, la “firma con interpretazione”, sulla quale si sono accese serrate dispute dottrinarie, che non possono non interessare anche la dottrina italiana. Infine, l’esperienza francese, dove è nato l’istituto del rinvio delle leggi. Sebbene praticamente non più utilizzato dopo la disastrosa esperienza di Luigi XVI, che pose il veto sospensivo su quattro fondamentali provvedimenti della Rivoluzione, l’istituto del rinvio delle leggi è andato a costituire il modello di riferimento per le altre esperienze repubblicane quanto ai rapporti tra il Capo dello Stato e le leggi. Di norma i Paesi presidenziali hanno adottato il Veto Power mentre i Paesi parlamentari appunto il rinvio delle leggi. Se è vero che con la IV Repubblica francese il rinvio è stato utilizzato nuovamente (12 casi), con la V Repubblica è stato utilizzato soltanto tre volte, la qual cosa, non di meno, non deve ingannare circa il ruolo (dei più rilevanti) che ricopre il Capo dello Stato nell’ordinamento transalpino rispetto alle leggi. La Parte Seconda (Tomo I) si occupa del rapporto tra il Capo dello Stato e le leggi nell’ordinamento italiano, incominciando dall’esperienza statutaria, durante la quale il Monarca svolse un ruolo (sostanzialmente) dei più significativi. Formalmente non erano poche le attribuzioni di spettanza del Capo dello Stato: da un lato, la sanzione (e quindi il possibile rifiuto di sanzione), la proposizione (la vera chiave di volta) e la promulgazione delle leggi e, dall’altro lato, la proroga, la chiusura, l’aggiornamento delle sessioni, oltre allo scioglimento della Camera e la nomina dei senatori. Si è detto che, sebbene a luci spente, sebbene nelle zone d’ombra, l’influenza del Sovrano rispetto alle leggi, durante il periodo statutario, non può sottacersi e questo nonostante la sua irresponsabilità. Si sono poi analizzati i dibattiti dell’Assemblea Costituente, in particolare, si è cercato di evidenziare come è stato considerato il ruolo del Capo dello Stato in generale e poi nello specifico quali poteri gli si sono voluti attribuire rispetto alle leggi, prima di tutto il potere di rinvio, del quale nel progetto di Costituzione addirittura non si faceva alcun cenno. A questo punto si è descritto il ruolo del Capo dello Stato nella complessiva architettura costituzionale repubblicana. Ci si è concentrati, nello specifico, sul potere di rinvio delle leggi, tra le altre cose, la sua natura giuridica, la questione della titolarità (connessa a quella della valenza della controfirma e quindi della responsabilità), il problema dei motivi del rinvio e le questioni più procedurali riguardanti tanto il versante presidenziale quanto quello parlamentare. A completamento dell’inquadramento teorico-concettuale si sono approfondite questioni più specifiche, come il rinvio delle leggi a Camere sciolte, il rinvio delle leggi di conversione, il “rinvio” degli atti aventi forza di legge, quello delle leggi urgenti, nonché il rinvio delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale. La Parte Seconda si è chiusa con talune riflessioni riguardanti uno dei problemi chiave, vale a dire il problema della responsabilità presidenziale, che, probabilmente, necessita di una (ri)discussione da parte della dottrina, soprattutto, per andare oltre alla sola responsabilità politica di tipo diffuso. E questo, in particolare, anche per il repentino passaggio della nostra democrazia a forme maggioritarie sempre più incisive, nelle quali si richiede un diverso ruolo del Capo dello Stato, ad incominciare dal problema del rinvio parziale delle leggi, un istituto sul quale si sono avanzate argomentazioni ad ogni modo molto caute.

La Parte Terza (Tomo II) del lavoro ha voluto ripercorrere la storia di ciascun rinvio effettuato dai nostri Presidenti. Rifuggendo da ricostruzioni che avrebbero potuto far perdere di vista la significatività di ciascun rinvio, si sono voluti mettere in risalto gli aspetti fondamentali di ciascuno dei sessanta rinvii delle leggi occorsi nel nostro concreto svolgimento costituzionale. Ogni rinvio è parso quasi fare storia a sé, spesso influenzato dalle circostanze politiche nelle quali è stato chiamato a muoversi il Capo dello Stato. Nemmeno per i più recenti rinvii, in effetti, questa regola è stata infranta: il rinvio delle leggi dipende in primo luogo dalla persona che occupa la carica monocratica e da come questa si intende rapportare al contingente momento politico. Così è stato sin dalla presidenza Einaudi, così non poteva non essere per il corso di tutte le presidenze successive e anche l’attuale presidenza Napolitano conferma queste conclusioni.

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