I seicento giorni di terrore a Milano
Vita quotidiana ai tempi di Salò
Description:... Salvatore Quasimodo restituisce la drammatica immagine della città nelle poche righe della sua disperata poesia Milano, agosto 1943: «Invano cerchi tra la polvere: / povera mano, la città è morta. / È morta: s’è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio...». I bombardamenti hanno costretto a sfollare mezzo milione di milanesi, e molti senza tetto non sanno dove andare. Entro la cerchia dei Navigli, oltre i due terzi delle case sono distrutte o seriamente danneggiate. Ma il peggio deve ancora venire. Dal settembre del 1943 all’aprile del 1945 Milano vive i suoi giorni più terribili. Firmato l’armistizio, il generale Ruggero, che comanda la piazza di Milano, negozia un trattamento “umano” da parte dei tedeschi. Ma è una trappola e pochi giorni dopo viene arrestato. La città cade in mano alle SS, che operano e soprattutto torturano all’Albergo Diana e al Regina. Prendono il sopravvento i fascisti più violenti, affiancati da illusi e irriducibili. Podestà e prefetti moderati vengono emarginati e la spoliazione della città procede a tappe spedite. Il famigerato Franco Colombo crea la Muti, congrega di assassini e torturatori a cui si aggiungono, provenienti da Roma, quelli della banda Koch. C’è una palazzina Liberty, in zona Lotto-Fiera, dove danno sfogo al loro sadismo sui prigionieri: verrà ricordata come Villa Triste. I tedeschi fanno smontare i macchinari delle grandi fabbriche per spedirli in Germania e impongono contributi in minerali, oro e persino in polli, maiali e mucche. Poi comincia il rastrellamento degli ebrei e il loro invio nei campi di sterminio dal Binario 21 della Stazione Centrale. In quest’inferno la gente cerca una parvenza di normalità. Nel 1944 i cinema e i teatri sono pieni. Si proiettano film e si danno spettacoli che nulla hanno a che vedere con la guerra: storie d’amore o d’avventura. I ristoranti prendono il nome di “refettori” e i bordelli diventano il luogo di trattative segrete. Venerdì 20 ottobre 1944 è il più drammatico dei seicento giorni. I bombardieri americani di ritorno da un raid sulle fabbriche della città sganciano le ultime bombe su Gorla, un quartiere nel Nordest, dove centrano la scuola Crispi. Il bilancio è spaventoso: 614 morti e almeno 600 feriti gravi; tra questi, 184 alunni, la direttrice e 19 tra maestri, bidelli e collaboratori. Mussolini intanto si tiene distante dalla città. Torna a Milano, dove la sua parabola era cominciata, solo alla fine... per il tragico epilogo. «La Shoah milanese, articolata in tre luoghi di terrore: l’Albergo Regina e via Marenco, dove si comanda e si coordinano le retate; il Binario 21, dove si organizzano le deportazioni nei lager; in mezzo, lungo questo percorso per l’inferno, il carcere di San Vittore... Appena giunti nel “braccio tedesco”, gli arrestati sono spogliati di ogni avere, talvolta costretti a firmare assegni in bianco, e sovente picchiati per estorcere loro altri nomi di parenti e conoscenti. Sono quindi registrati con un numero progressivo, seguito da una E (“Ebreo”) e ogni tanto da una J (Jude, “giudeo”)».
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